Nicola Vacca
Mattanza dell'Incanto
scritto da A. Iannone
L’inseguimento continuo dell’utile è una lucidità affannosa di fronte al nulla, al nichilismo naturale delle cose e il letterato non può che prenderne atto.
Cosa fare, dunque? Affrontare l’esistenza del male oppure ammirare le società distrutte dall’incombente niente? Nicola Vacca conosce la propria strada, il proprio ruolo nel mondo della poesia. Egli non si presenta come un vate, ma continua un interrogarsi doloroso sul presente. La sua è vera opera utile, non all’uomo, colui che sebbene ci provi non può far altro che soccombere sotto le macerie, bensì alla realtà stessa, che leggendosi riuscirà a comprendere la propria deformità.
Ci saranno anche giorni felici?/ Da qualche parte deve pur esserci/ una via di scampo al mistero/ di questa parte di niente/ che scava ferite/ /Il teste si avvale della facoltà di non rispondere
Conoscitore della parola, Vacca a la impugna e ferisce i significanti di questa prima e i propri lettori poi, mentre essi sanguinanti comprenderanno finalmente la propria natura.
Non si pensi, però, che l’opera sia solo un ferire senza scopo, anzi, essa vive soprattutto degli incessanti sprazzi di verità lontana dal mondo umano, laddove l’autore si fa portatore di un verbo più alto, quello dello stesso atto poetico
La poesia nasce/ dal fermento in divenire/ della ragione e del sentimento/ che in un unico abbraccio/ pronunciano la magia dell’indicibile
Ne scrive la genesi e la pubertà, la crescita e la morte mai avvenuta.
Nicola Vacca, poeta (del) vero, riesce come pochi nel connubio tra assassinio e sensibilità suprema, tra maceria e ricostruzione.
Voglio disperdere versi/ come il vento che spira/ e lascia dietro di sé/ una traccia da seguire
Poesia reale, tangibile ma che esiste soprattutto nell’animo delle parole.
Un’opera assassina.
